Lei si adagia
a far pipì seduta sulla tazza,
non le
interessano risposte alle sue domande
ed è
difficile introdursi in quella rigida corazza:
“Ti ricordi
il nostro amore che era tanto grande?”
Lei apre il
rubinetto, di fuori invece piove,
a lui
piacciono le gocce che striano sui vetri:
ha mente e
corpo assenti, in un brunito altrove,
distanti da
quest’oggi ottocentomila metri.
Lei si alza
nel silenzio, le luci tutte accese,
un’altra
goccia al vetro tratteggia nuova riga,
artiglia sui
capelli le risposte non attese;
gli slip
ancor calati e lui rimira la sua figa.
Ma ha perso
l’interesse, gli spiace, se n’è andato
quel tempo
in cui: “Ti scopo!”, adesso il corpo langue,
rimangono
giù in terra l’ardore annoiato
e dal suo
pigro cuore quattro lacrime di sangue.
Un verbo,
una parola, un dire eppur non detto,
né suono né
grugnito, neppure voce sale,
un quieto
ticchettio fa musica dal tetto:
è l’unica
canzone che nel nulla ora prevale.
Niente
gesti, niente cenni, non parla più nessuno,
la rinuncia
squarcia il nulla, svogliato è lui distante,
la sua arte
è nella pioggia, delle nuvole il raduno
o nel cielo
incanutito sopra un singolo abitante.
Lei si tira
su gli slip, ha le palpebre calate,
cammina come
automa o come fanno le formiche,
in testa ha
un sol pensiero: che venga poi l’Estate,
e al mare o
a cena fuori tutti i giorni con le amiche.
L’epilogo è
suonato come campana a morto,
giù in
strada un’altra coppia si sente festeggiare:
brindano all’amore
che in loro ora è risorto...
Rivoli di
pioggia stanno andando verso il mare.